In questo post spezzerò una lancia per gli A-Ha creando un ponte (lungo? no, più lungo) tra loro e altre due band, oserei dire, leggendarie.
Mi farete a pezzi ma, fiero e spigliato io, come e più della ‘ragazza che limona sola’ (altra leggenda gli Elii, e minaccio di parlare del ponte tra loro e i Vianella in futuro, in caso ne avessi ancora uno), affronterò la prova che, ben conscio delle evidenti difficoltà a cui andavo incontro, avevo in un primo tempo pensato di intitolare “Il Ginepraio”.
Ebbene: gli A-Ha sono tra le band più sottovalutate di sempre.
Lo penso da qualche centinaio di mesi ma lo dico colpevolmente solo ora che almeno siamo in due, avendo saputo di una dichiarazione simile di “the Edge”, più conosciuto come Sua Maestà Imperiale, divino Maestro pizzicatore di corde, degli U2.
Il gruppo norvegese, seppur riscoperto, rivalutato e osannato dai media inglesi in tempi recentissimi, dopo che i Coldplay li indicarono come loro punti di riferimento musicali, fu frettolosamente marchiato già all’esordio (lo saprete tutti, il primo singolo Take on me è ancora oggi un classico) quando tutti i meriti passarono in secondo piano (più garage che secondo piano in effetti) offuscati dalla siderale avvenenza del frontman Morten Harket (credo uno degli uomini più belli degli ultimi decenni, anche qui mi prendo la responsabilità dell’affermazione ma so di avere dalla mia parte l’altrettanto coraggioso Chris Martin, sempre Coldplay) che fece partire l’embolo alle ragazzine di mezzo mondo pronte a tappezzare anche i raggi del motorino con i poster dei nuovi vichinghi. E chissenefrega dello stile, delle canzoni, della voce: BELLO TUTTO quello che canta Morten, anche la terza riga del tabellone dell’oculista (eh, che lingua difficile, il norvegese).
BRUTTE COSE!
Del comportamento umano ci sarà certo chi saprà spiegare perchè, in ambito musicale, se il pubblico rosa plebiscitariamente acclama, gli azzurri si guarderanno bene dal farlo, anzi punteranno i piedi come muli mostrando non solo indifferenza, ma un secco rifiuto.
I tre norvegesi vendettero quindi dischi a palate, ma il pubblico maschile, che decreta sempre la credibilità e l’autorevolezza di ogni artista, tirò su un muro sufficiente a segnare il cammino e marchiarli come boyband (il termine arrivò dopo, ma avete capito): un’onta mai accettata dai tre norvegesi che, umiliati ma impotenti perchè ormai imbrigliati nelle regole del music business, resteranno vittima di questo complesso di inferiorità e faranno i conti per anni con un peccato originale che vanificherà inesorabilmente molti dei tentativi di riposizionamento ‘musicale’.
La premessa era d’obbligo perchè quello che sto per dire ora potrebbe essere per molti considerato musicalmente blasfemo.
Sento profumo di ginepro, eccolo, lo vedo, lì mi ci sto per infilare: A-Ha = Radiohead = Depeche Mode
Eccomi, sono pronto, ma prima vorrei difendermi spiegare.
Musicalmente, tralasciando le chitarre che fanno molto rock, più presenti nei Radiohead – che poi ultimamente le hanno abbandonate, anzi hanno abbandonato tutto, anche la forma canzone, tanto che qui non considererò il loro ultimo periodo ……. ma di questo non riesco a darmi pace tanto che prometto ci ritornerò in futuro – ci sono diverse analogie nelle composizioni dei tre gruppi.
Eccone alcune:
ARMONIA: scordatevi l’idea di improvvisare al piano o alla chitarra uno qualsiasi dei pezzi di questi signori per fare colpo sulla nuova tipa/tipo della compagnia. E’ un suicidio annunciato, una macchia che per sempre vi porterete appresso, l’aneddoto che i vostri amici racconteranno negli anni a venire, e ogni volta voi vorrete essere morti con valuta retroattiva.
Sono componimenti subdoli: paiono semplici ma nascondono mille insidie tra cui una inusitata quantità di accordi DA FARE TUTTI (quindi da sapere già, da provare e riprovare prima del debutto finto-casuale), alcuni dei quali – di solito quelli killer, i soliti obliqui di cui ho già detto troppo sul post dei Savoy – sono fondamentali, e se li sbagliate la canzone non solo non sarà ‘quella’, ma sarà una merda.
Per improvvisare una session e far colpo sulla vostra preda senza cannare il trucco c’è ed è sempre quello: Guccini Guccini Guccini, i quattro accordi imparati sul libretto della parrocchia sono un passepartout valido per tutte le sue canzoni, vi assicuro che non morirete vergini.
Aggiungo che se, invece, qualcuna volesse far colpo su di me, basta solo dichiari di NON volere suonare Guccini – e magari sottolineare che musicalmente è un fossile – e la strada giusta per il mio cuore potrebbe essere indicata più chiaramente delle uscite di sicurezza delle cabine degli aerei (a fine articolo, piccola nota salvavita [mia] su questo argomento)
STILE: in ognuno di questi gruppi c’è un’anima pop innata, con fiumi di incisi che aspirano a prenderti e portarti via. Ma non è sempre così evidente perchè lo svolgersi dei brani è quasi una manovra di accerchiamento, in cui la strofa può sembrare dimessa, incompleta, in sospeso o che non vada da nessuna parte non catturando al ‘primo ascolto’ (esempi veloci e incompleti: DepecheMode|Precious, Enjoy the Silence, Walking on my shoes – Radiohead|No surprises, The Tourist, There There – A-Ha | The Bandstand, I’ve been losing you, Scoundrel Days, East of the Sun). In realtà si tratta di un preciso ‘rito preparatorio’ al ritornello, spesso aperto e di gran respiro, il giusto riconoscimento per chi ha saputo applicarsi e aspettare. Viva la meritocrazia.
VOCE: favolose seppure diverse: David Gahan (Depeche Mode) sempre abilmente sul pezzo e grandioso nei toni bassi e territori sensuali e misteriosi.
Più ampio invece il raggio d’azione di Thom Yorke e Morten Harket: il primo usa magistralmente una voce dal timbro piuttosto comune (non fate caso ai detrattori, di solito i vostri familiari, che li definiscono ‘miagolii’), il secondo ha una voce pazzesca, sempre perfetta nei bassi come e più di Gahan, con qualche eccessiva enfasi negli acuti che, ahimè, talvolta sconfinano in territorio opera e yodel.
Domanda.
Ma è possibile, direte voi, che tutte le somiglianze, le qualità che hanno reso grandi le altre due band, per gli A-Ha siano state ignorate solo per la storia delle ragazzette urlanti?
NO. Proprio no. No (e no). Ed è qui la GRANDE differenza tra i “nostri” e i Radiohead/Depeche Mode.
Titolo (che magari stavolta si entra nel vivo)
L’abito non fa il monaco, o sì?
IL SUONO. La grande differenza è il suono. Disgraziatamente, troppe volte (e quasi sempre nei singoli) gli A-Ha non ‘suonano’ come dovrebbero. Ed è un peccato perchè, al contrario di quanto diciamo ai nostri bambini, questo non è un mondo perfetto dove è importante essere belli dentro e di conseguenza neanche quello della musica lo è, quindi l’abito non solo FA il monaco ma lo ha pure SEMPRE fatto (ma certo!).
SUONO DEPECHE: L’ambiente elettronico è l’ ideale corredo alle loro canzoni, denso di suoni caldi ed eleganti. E possono anche non piacere, ma la loro fighitudine unisex è fuori discussione (ho un’amica super-felicemente sposata, ferma sostenitrice della monogamia quale valore imprescindibile nella coppia, con l’unica eccezione del..cantante dei Depeche, caso in cui il tradimento non conterebbe. E il marito comprende – ma sì, è ovvio che sa già che statisticamente sta in una botte di ferro, ma trascuriamo il dettaglio che sennò il mio ragionamento si sgonfia – e, diciamo….. ‘giustifica’ il punto di vista di lei. Fighitudine unisex, appunto).
SUONO RADIOHEAD: Sempre più elettronici e, con il passar del tempo, sempre più a fare il gioco della sintesi sottrattiva: suoni freddi, precisi e rarefatti tengono ormai l’ascoltatore a distanza si sicurezza, un po’ come le sedie del domatore con le tigri. Sono in tanti, ma vengono riconosciuti più un’entità che fa capo a lui, Thom Yorke, stimato, rispettato, virilmente idolatrato da un pubblico prettamente maschile che vede in lui il guru del musico-intellettuale, profilo che di questi tempi fa così tanto figo: forse più di avere letto Umberto Eco, proprio lui che di abiti e monaci aveva già capito tutto e ci scrisse sopra quel librone che invece avete mollato a pagina 37 (li sto massacrando questi fighetti, eh? In realtà magari vi siete riconosciuti, ma stavo parlando di me. Ero giovane e ancora più superficiale, ma a pagina 37 c’era l’asino che saliva la montagna e una parola su due era in latino, proprio non ce l’ho fatta. Il film, però, bellissimo [vergogna]).
Torno sui binari: l’arrangiamento – l’abito -, per loro conta ormai così tanto che è ormai qualche anno che, ascoltandoli, dubito che il monaco sia ancora lì sotto e più probabilmente ora gestisce una pizzeria a Berlino, tanto le composizioni sono…. DESTRUTTURATE (inconsistenti, dico io che li ho pure adorati per anni) come le definiscono quelli che, sempre virilmente, sono così accecati dalla fighitudine di Yorke che…non potrò certo sentirmi al sicuro dopo la pubblicazione di questo post.
SUONO A-HA: purtroppo non c’è gara, e qui mi cadono i fiordi: sono rimasto spesso deluso sulle scelte di stile. Le sonorità poi, pur essendo affini a Depeche e Radiohead, lasciano l’amaro in bocca perchè anche lavori recentissimi hanno un non so che di “anacronistico e meno cool” (sonorità meno ricercate, atmosfere che difettano in stile), con suoni da ‘pianola’ (diverso da ‘tastiera’, non so se mi spiego) che sviliscono i pezzi, avvicinandoli ingiustamente ma pericolosamente alle terribili sciocchezzuole di plastica anni 80.
Il frammento di oggi è l’esempio perfetto di ciò che ho lungamente (e me ne scuso, lo faccio ogni volta, non date mai il mio numero per la chiamata a casa del milionario) esposto qui sopra.
Si tratta di Butterfly (The last Hurrah), l’ultima canzone composta dal gruppo prima dello scioglimento, avvenuto alla fine del 2010.
Un brano, scritto da the king Paul Waaktaar, che porta in dote le caratteristiche che io apprezzo di più in questa band: giri armonici ricercati, linea del cantato intrigante e per nulla scontata, testo ‘per immagini’ apparentemente sconnesso, ma in realtà frutto di metafore che più o meno semplicemente descrivono ‘il malessere’ di turno.
Butterfly è una canzone triste e disperata, scritta nel tentativo di accettare la decisione – da lui no, ma condivisa dagli altri due – di sciogliere la band, e lo fa immaginandone invece le conseguenze positive.
Nelle strofe viene ripreso il tema della farfalla, che in realtà è la band ormai sul punto di andarsene per sempre, seguendo un percorso irreversibile (a proposito: “acknowledge the bell you can’t unring” è una frase che vorrei avere scritto io per giustificare – a ragione – l’erezione di una statua di 60 metri nella piazza della mia città che, il progetto è pronto, continuo a posticipare), mentre nell’inciso Waaktaar si concentra sulla “figata del domani” come a dire ‘non vedo l’ora‘ e su obblighi e pressioni allentati dopo lo scioglimento (“Non dovrai più spiegare quello che pensi”, “Non dovrai più restare senza motivo“, “Non dovrai dire che ti importa”). Argomenti poco convincenti, davvero, segno tangibile della disperazione di chi non sa darsi pace (pare che, prima di trovarsi in mano la pagliuzza più corta, avesse già scritto una buona parte del materiale del nuovo album).
L’anima della canzone è quindi di una una voragine di dolore soffocato, che però credo abbiano avvertito in pochi: infatti i nostri pensano bene di mascherarla con i soliti synth d’annata (quelli che i depeche tengono nello sgabuzzino delle scope) così da farla sembrare un remix dell’86, con un risultato che a dire il vero stavolta non è neanche malaccio, ma che violenta l’ottimo lavoro compositivo e, stavolta lo sottolineo, la straordinaria prova vocale del buon Morten che ormai – comprati uno all’anno – in armadio dovrebbe avere circa 52 berretti, ma che anche vocalmente è ancora un semidio (forse sciarpe anzichè berretti).
Come i più attenti avranno già capito, a-do-ro questo brano (strofa perfetta, inciso ancora meglio, così variato che ti aspetti la fine almeno due volte), mi piace così tanto che se qui lo faccio a fette nel mio cuore sorvolo sulle evidenti mancanze in fase di produzione, ma ho pensato di dare alla sterminata platea che ci legge una possibilità in più di capirne l’essenza.
Troverete due frammenti, uno del brano originale e un’altro della versione acustica, in cui noterete subito che il ridicolo riff iniziale della prima, suonato al pianoforte , si trasforma in un preludio già intenso di una canzone che, pur essendo perfino trasandata nell’esecuzione (ipotesi semplicistica ma divertita: avranno provato poco causa tensioni interne per la faccenda dello scioglimento, e per ripicca Waaktaar si sarà fasciato almeno 4 dita per non rischiare di suonare bene la chitarra) risulta invece più genuina e intensa. Ascoltatelo e immaginatelo interpretato da Radiohead o Depeche Mode per capire a quale stratosferico livello compositivo graviti il pezzo.
Per me, tripudio di brividi lungo la schiena. Ma all’inizio il pezzo mi deluse parecchio, quindi ringrazio il frammento specie nella preparazione al ritornello [punto di ascolto 0:27-0:36 ma anche le sospensioni a 0:51-1:04] che diede il via alla rivalutazione del resto.
Nota finale per il video del brano, per l’occasione affidato nuovamente a Steve Barron, regista e ideatore del primo Take on me, che chiude idealmente il cerchio e ripercorre i 25 anni di musica con una serie di frammenti flashback.
Low budget e poco tempo, certo e si vede (fu infatti una cosa decisa dopo il lancio del singolo), ma complessivamente un bel modo di chiudere un ciclo con un un filo di emozione verso la fine, quando i tre A-Ha si scambiano gli ultimi sguardi d’intesa prima di….lo vedrete voi. (e se lo permetterete, dei fiordi parlerò ancora)
5stelle
Il frammento:
Il link al brano completo:
Link al brano acustico
(*) piccola nota salvavita [mia] su argomento Guccini: vero, tutto stramaledettamente vero quello che ho scritto, ma in via teorica. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare il colpo di fulmine per cui la realtà mi vede felicemente accompagnato da un considerevole numero di anni a una irriducibile fan di cose tipo ‘La locomotiva’ e altri reperti musicale italiani; quindi di fatto ‘non disponibile’ all’accensione delle segnalazioni che portano al mio cuore. Ecco, giusto per essere sicuro di poter aprire la porta di casa con tranquillità, stasera.
complimenti per l’articolo, te ne intendi sicuramente più di me, ma dire che il suono degli A-ha non è all’altezza……non so……la musica non è razionalità, la loro va dritta all’anima, ogni pezzo è diverso dagli altri (quanti così?)…poi certo, la perfezione non esiste ed è vero che la loro avvenenza non ha facilitato la loro carriera, ma una band che da 30 anni è ancora sulle scene e riempie i concerti….non so i media ma il pubblico è andato oltre l’aspetto fisico già molti anni fa….credo possano essere soddisfatti
Ciao Alex,
voglio risponderti anch’io.
Il tuo articolo ha ormai qualche anno, ma l’ho trovato solo ora… perdonerai l’intempestività. :p
Seguo gli a-ha da quando avevo 12 anni – quindi 21 anni fa (il rapido calcolo ti porterà alla mia età attuale!). Ricordo bene quei tempi e alcune prese in giro che mi sorbivo… non solo da maschi – ovviamente! – più vecchi di me, ma anche dalle ragazzine della mia stessa età che all’epoca per lo più stavano dietro a Mark Owen & Co. …
In realtà, me lo ricordo, avevo individuato una cassetta tra tutte quelle che il mio fratello maggiore teneva in camera sua. Ero affamata di nuova musica da ascoltare. Non rammento perché presi proprio quella. Probabilmente perché mi tornava sempre in testa una canzone molto orecchiabile che avevo sentito millemila volte e con un video che mi era piaciuto, questo ancora quando avevo 5-6 anni… forse la presi per quello, una volta conosciuto il nome del gruppo. La cassetta non era originale, quindi non c’era una foto che fosse una: tanto per chiarire le cose.
Dopo un paio di ascolti mi resi conto che l’album mi piaceva, e non me ne staccai per tutta la primavera e l’estate del 1993. Anzi, ad un certo punto me ne staccai per andare in vacanza da una mia amica, ma ci fu un giorno in cui, presa dalla nostalgia di casa, annotai disperata sul mio diario: ‘Ho tanta voglia di ascoltare gli a-ha e i Duran Duran (mi ero da poco procurata anche The Wedding Album)… qui non ho neppure il walkman…’. (PS: da allora non andai più via senza il walkman!)
Non sapevo chi fossero i componenti della band. Non li avevo mai visti, eccettuato quel video del quale avevo un vago ricordo.
Poi… vabbè, dopo pochi mesi decido di farmi regalare per la Cresima il cd (che era una novità!) dell’ultimo album, Memorial Beach…… Ma a quel punto avevo recentemente tagliato il traguardo dei ‘teen’ e… ebbene sì, a quel punto è partito l’embolo anche per me! :o) Eeeehh dai… come poteva essere diversamente?!
Vabbè… dopo questa lunga disquisizione per sostenere senza tema di smentita come il mio interesse per gli a-ha sia nato dalla loro musica e non da pensieri impuri (!)….. voglio rispondere anch’io al contenuto del tuo post.
Interessante il confronto con i Radiohead e Depeche Mode. Sui primi in realtà non posso esprimermi più di tanto, perché ammetto di conoscerli pochissimo. I Depeche invece li conosco parecchio bene, ultimi 2-3 album a parte, e ho cominciato a ‘frequentarli’ ancora prima degli a-ha perché stimolarono per la prima volta in assoluto il mio lato ‘dark’ con una canzone come Walking In My Shoes.
Trovo più gestibile il confronto con i Depeche non solo per questo, ma – più oggettivamente – perché fanno parte della stessa corrente musicale degli a-ha.
Concordo su quanto hai scritto per Armonia (anche se pochissimo me ne intendo…), Stile, Voce.
In merito al Suono, prendo una metà della tua lancia spezzata per gli a-ha e la rispezzo di nuovo. :p Parliamone.
Tu scrivi: “lasciano l’amaro in bocca perchè anche lavori recentissimi hanno un non so che di “anacronistico e meno cool” (sonorità meno ricercate, atmosfere che difettano in stile), con suoni da ‘pianola’ (diverso da ‘tastiera’, non so se mi spiego) che sviliscono i pezzi, avvicinandoli ingiustamente ma pericolosamente alle terribili sciocchezzuole di plastica anni 80.”
Credo tu parli essenzialmente di Foot Of The Mountain, perché gli altri 3 album degli anni ’00 non sforano così tanto nell’elettronica vintage.
Comunque… per me è una scelta. Poi, può piacere o non piacere, ma è effettivamente il loro stile. A me piace, perché, da furiosa appassionata della musica anni ’80 qual sono, non posso che goderne.
Continuando il confronto con i DM, scrivevo che per l’appunto non conosco i loro ultimi lavori perché… a differenza di quello che hanno fatto recentemente gli a-ha, loro non riesco più a digerirli, ad assimilarli. O meglio, ci riesco ma con molta fatica. Saranno anche suoni caldi (caldi…?!), eleganti…. ecco, forse lo sono troppo. Forse sono andati un po’ troppo oltre, con la loro raffinata sperimentazione. Un po’ come scrivevi per i Radiohead con la ‘destrutturazione’. L’elettronica dei DM, nuova e recente, alla fine mi sembra quasi essere diventata un esercizio di stile fine a se stesso, alla lunga ripetitivo e senza messaggio. Confezionato magistralmente, certo. Impeccabile. Ma basta l’abito sontuoso, se poi il corpo mi si rivela non consistente quanto l’abito mi lasciava pensare? La delusione rischia di essere direttamente proporzionale all’aspettativa.
Avanti, ma dov’è finita l’essenzialità massiccia, l’energia dirompente di una Photographic? di una Behind The Wheel? Io non dico di tornare indietro nel tempo, ma la migliore new wave del nuovo millennio ha saputo unire l’incisività nuda e cruda delle origini con le ultime acquisizioni in fatto di suono elettronico, mantenendo un buon bilanciamento tra questi due aspetti.
Ecco allora che per me canzoni degli a-ha come The Bandstand o Riding The Crest o l’ultima versione live di Minor Earth Major Sky, sono una prova tangibile e più che degna di quanto scritto qui sopra.
Per diverse altre canzoni invece devo darti ragione. Butterfly, ad esempio, si meritava qualcosa di un po’ meglio, e si poteva rendere diversamente anche senza perdere quel mitico gusto synth.
(per quel che riguarda la faccenda del frammento live, quello che hai postato è tratto dall’ultimissimo concerto degli a-ha, Oslo 04/12/2010… ogni volta che suonano una loro canzone unplugged, solo voce chitarra piano, raggiungono veri e propri vertici nell’espressività di quella canzone… hai presente Early Morning nel tour 2000-01?)
Agli a-ha io critico il solito, non sufficiente coraggio nel prendersi fino in fondo la ‘paternità’ totale dei propri lavori. Ho sempre questa percezione, che molti dei loro pezzi, in particolare quelli destinati a diventare singoli, siano sempre finiti distorti dalle mani e dalle idee di qualcun altro. Succedeva negli anni ’80, come del resto ben descritto in The Company Man, ma per ragioni commerciali credo sia successo più volte anche negli ultimi 15 anni. Altrimenti non mi spiego, ad esempio, come la bellissima Minor Key Sonata possa essere diventata Analogue (sempre bel pezzo, eh… ma quanto ha perso rispetto all’originale?!), o il sound imbarazzante da ‘boyband’, stucchevole, di Forever Not Yours.
Ho scritto quasi quanto te…….. la smetto qui! :p
Grazie ancora per i tuoi articoli e per l’opportunità di poterne discutere qui! 😉
Paola
ciao Paola,
perdona il pessimo tempismo della mia risposta, diamo la colpa alle vacanze va’ (un po’ è vero).
Che dire, di certo è difficile che io possa aggiungere qualcosa al mio delirio interminabile del post su “Butterfly” – vedo con piacere che anche tu sai misurare le parole quanto me… ;-))) – ma di certo confermo che il delittoche si è compiuto sulle spesso molto belle composizioni del trio è sempre lo stesso: ‘vestizione’ della canzone con stile non adeguato alla qualità delle composizioni e soprattutto con poca attenzione al panorama musicale con cui i pezzi si dovranno confrontare. Alla fine gli a-ha non suonano “cool”, quasi mai…questo è il problema.
sono tuttora convinto che l’80% della loro produzione, riarrangiato e riproposto senza il peccato originale delle ragazzine urlanti, avrebbe un riconoscimento unanime. alla fine, gli U2 fanno canzoni anche più scarse ma sono fighi comunque, un’aura che i norvegesi non hanno mai avuto…peccato.
[aggiungo anche che da un bel po’ di anni la voce di Morten nei concerti – alla continua ricerca della perfezione formale – è inaccettabile, senza personalità e nemmeno intonata. Non si può!]
Ecco, non sono mai di due parole, visto anche stavolta?
Ti ringrazio per essere passata da noi, buone vacanze!!
alessandro
Pingback: GIRLS IN HAWAII | Bees And Butterflies II | Solo Frammenti
Beh qua invece apriamo Tutto un altro discorso,essendo il mio gruppo preferito dal 1985,quindi dagli inizi,non mi dilungo molto senno’ rischio di farVi addormentare scrivendo svariate chicche in merito sui 3 Baldanzosi abitanti dei fiordi !!!
E perché no, invece? Scrivi ciò che pensi senza timore. Difficile che tu risulti più prolisso del sottoscritto…
Senti posso dirti una cosa ? SEI UN GRANDE e da donna ultratrentenne ,cresciuta con la voce dolcissima e melodiosa di Morten ,tutt’ora ascolto anche il suo percorso da solista ,perfino in norvegese anche se non capisco una parola ma il suono della sua voce e le melodie bastano….,credo che fosse l’ora che qualcuno dicesse questo. Gli A-ha non sono stati solo una meteora degli anni ’80 come tanti, sono cresciuti ,si sono evoluti e adeguati ai sound e alle melodie attuali precorrendo e largamente sorpassando tante band più “fortunate”che ,sommessamente ammettono di ispirarsi a loro .
E tutto questo l’hanno fatto senza mai perdere l’impronta unica e originale che li caratterizza fin dagli esordi. E non sono una critica musicale nè un esperta ma se il signor Bono che,condivido, ha molto in comune con loro…. lo dicesse chiaro e forte e magari li facesse partecipare a un suo concerto farebbe un’altra buona azione tra le tante…più che altro renderebbe giustizia all’arte e alla musica di questi tre straordinari talenti massacrati da un mondo discografico spietato e certo condizionato dall’eccessivo gradimento femminile..
Ti ringrazio, davvero, per l’iniezione di autostima.
adesso non posso gaurdare ascoltare e vedere il video, ma io ero una di quelle ragazzine urlanti adoranti gli a-ah….
In effetti sei stato tu a ricordarmi l’abitudine dei Freur a spaccare tutto, del resto anche il bizzarro modo di presentarsi era praticamente inverosimile… certe volte si dà troppa importanza a melodie orecchiabili perdendo il contesto… quasi un effetto da DPTS. Ho apprezzato il tuo passaggio sullo scioglimento del gruppo, anche questi sono atteggiamenti di solito ritenuti di poco peso di fronte ai pseudovalori di oggi.
Sì effettivamente carina questa, del resto il teknopop aveva bisogno di depurare le sregolatezze di Joy Division e Freur per rendersi presentabile.
ops.. scusate la brusca intromISSIone.
Intromissione? Anzi, benvenuto.
Sui Joy Division ok, i Freur (che mai mi sarei ricordato), insomma… tra l’unico hit “Doot Doot” e l’abitudine di ‘spaccare tutto’ alla fine dei concerti, credo rimarranno nella mia memoria (temporanea) più per la seconda.
a_
Dicevo Dante per la lunghezza dell’articolo, comunque mi piace il tuo modo di scrivere. ci sono molti blog bellissimi, ma a volte con un linguaggio che non tutti comprendono ( e non mi riferisco a quelli stranieri) :). Ciò che secondo me è importante, è scrivere in modo che chi legge, abbia quasi l’impressione di parlare con lo scrittore, e tu lo fai molto bene.
Io su questo mi ritengo ancora abbastanza acerbo, comunque ti posto il mio ultimo articolo pubblicato circa 15 minuti fa… magari mi puoi dare qualche consiglio…
https://satiracconti.wordpress.com/2011/12/06/a-a-a-lavoro-cercasi/
Beh, grazie, è un bel complimento quello che fai.
Posso solo dirti che, mentre i commenti sono naturalmente scritti in velocità e inviati, i post (sia i miei che di Valeria) sono stati riletti un milione di volte per aggiungere, soprattutto togliere, cambiare. E non è che alla fine ci sembrino pronti perchè perfetti, ma è solo che non ce la fai più a leggerlo ancora senza che diventi una tortura cinese (anche perchè ancora cambieresti cose). E allora lo lasci andare. Non è più tuo. click. pubblica.
in bocca al lupo e continua a seguirci.
a_
Dante sarebbe invidioso… :).
cmq se non ti spiace metto il link del mio blog qui sotto, quando imparo a postare i link nel blogroll metto anche il tuo, è troppo bello..
http://satiracconti.wordpress.com/2011/12/04/cara-musica/
Troppo buono,
ma non esagerare (evidentemente sei già in clima natalizio, quello in cui tutti sono/si dichiarano, appunto, più buoni).
….o forse il paragone era solo tra la lunghezza del mio post e la divina commedia?
comunque, gentilissimo, grazie.
a.
Ale, mi sento un po’ una super eroina… avevo il dono dell’invisibilità ma dovevo fare questo blog con te per rendermene conto 🙂
Articolo impegnativo, ma interessante.
Concordo col rammarico dell’autore, i pezzi Radiohead non sono completamente rappresentativi della tesi esposta.
Forse un commento con l’aggiornamento dei pezzi potrebbe essere d’aiuto.
Bravo Ale per avermi finalmente dato retta… I Take it easy hospital te li avevo segnalati proprio per l’incontro-scontro tra la voce maschile e quella femminile e vedo che non ho sbagliato suggerimento. Brividi anche questa volta (come quelli provocati dal gesso sulla lavagna, ma sempre brividi!).
Allora, smessi i panni della permalosa, mi sono calata nuovamente nella veste di ascoltatrice seria e ho fatto quanto mi ero ripromessa: ascoltare in rapida successione almeno un brano cadauno dei tre gruppi che Alessandro in questo post ha voluto idealmente allineare e, pur trovando ingegnosa e ottimamente sviluppata l’idea di Alessandro (chapeau, chapeau, infiniti chapeaux) non sono così convinta, soprattutto per quanto riguarda i RADIOHEAD.
Io i tre gruppi non li ho mai paragonati tra loro, né l’interpretazione di Ale ha dato forma a qualche idea che si muoveva in forma di nebulosa nella mia testa per cui: mi piacciono tutti e tre, Dave e Morten GRANDISSIME VOCI (Yorke un po’ meno, mi dispiace… si rifarà con altri talenti) ma per me musicalmente abitano case diverse in città diverse.
Sulla canzone: bella la versione acustica, come avevo già detto ieri, un po’ meno quella originale. Sono comunque perfettamente d’accordo che gli A-ha meriterebbero maggiore attenzione ma, è detto in entrambe le presentazioni degli autori di questo blog, non c’è tempo mai tempo abbastanza per niente e nessuno (e quindi cari A-ha… mal comune mezzo gaudio).
Rifletto in questo momento che un possibile valore aggiunto di questo blog, almeno per me, è anche questo: gustarmi un bel piatto elaborato che qualcun altro si è premurato di preparare. Sarò sempre e comunque irrimediabilmente indietro su tutto, però ieri ero a – 125.498.798.421 mentre oggi, grazie a Butterfly e all’ottimo omaggio di Ale, sono a – 125.498.798.420.
Maledetta fretta (la mia) di pubblicare.
Difendo con convinzione la mia tesi ma, è vero, che i brani che ho portato ad esempio avrei potuto sceglierli più accuratamente, soprattutto quelli Radiohead.
Di questo, e di altri milioni di cose non tutte musicali, mi rammarico, oggi e in futuro (rammaricherò).
Eccolo qui!
Dopo aver letto la tua nota biografica sulla musica norvegese e dopo i due post sui Savoy, mi domandavo quando sarebbe giunto un pezzo sugli a-ha. Eccomi accontentato e, come giusto che fosse, con una vera e propria dissertazione a 360 gradi (qui, ammettilo, il frammento è poco più che un pretesto! 🙂 ). Certo devo dire che il ponte fra a-ha, Depeche Mode e Radiohead non me lo aspettavo (e a questo punto non vedo l’ora di leggere il post in cui spiegherai il collegamento fra Elii e Vianella).
Perfettamente d’accordo sulla considerazione che a volte il semplice fatto che una torma di ragazzine idolatri qualche cantante/gruppo finisca per far storcere il naso all’altra metà del cielo. Fra le vittime illustri metterei oltre agli a-ha e ai Duran Duran (come già avete avuto modo di dire tu e Valeria), anche i Take That (sono andato troppo oltre?).
Personalmente i 3 norvegesi mi sono sempre piaciuti ed ora mi è tornata una gran voglia di riascoltarli, anche per vedere se effettivamente le tue considerazioni trovano fondamento… sicuramente un legame con i Depeche Mode lo vedo anche io… per i Radiohead devo pensarci su.
Comunque, come al solito, gran post, anche se prima o poi rischierò il licenziamento se continuo a passare il mio tempo a leggervi in orario di ufficio.
P.S.: c’era una volta una ragazza di cui ero innamorato e che adorava Guccini (e Renato Zero, ma questa è un’altra storia)… io un po’ meno (per usare un eufemismo). Beh, alla fine non ha funzionato.
…diciamo che più che un pretesto non sapevo da che brano iniziare, perchè ci sono altre belle perle che giacciono là negli album, in mezzo ai singoli da classifica.
Vedrò in seguito se scriverne ancora, certo non un altro Vangelo (tutte le volte mi riprometto di essere breve, poi sarà l’eccessiva paura del foglio bianco…).
Giusto sui Take That, tengo sempre d’occhio G.Barlow come autore, ormai completamente riscoperti credo anche trasversalmente. Bravi, se lo meritano.
Riguardo a noi, avevo questa sensazione di corrispondenza di interessi e stile e leggendo nel tuo blog la storia della musica sentita in un negozio ne ho avuto la conferma (se non è il potere dei frammenti, questo!), quindi mi sono incuriosito su MELODY GARDOT e “My one and only thrill”
Tra mille difficoltà – complice anche il post da finire – sono riuscito ad ascoltare solo il primo pezzo.
WOW, chissà come sarà poi, ma dopo il primo ascolto so già di essere completamente sottomesso alla sua voce e musica (che credo scriva lei ma non sono sicuro e sicuramente approfondirò).
Grazie davvero (e per il futuro mi impegnerò perchè entrambi manteniamo il posto di lavoro).
Come ci starebbe bene qui una scenata di gelosia! Ammazzami se hai mai ascoltato una cosa che ti ho suggerito io, e adesso arriva Marco che dice “perepepè” e tu corri ad ascoltare.
Forse tu stesso sei vittima del preconcetto azzurro che ti fa snobbare quanto proposto da un fiocco rosa? Mumble mumble
Sapevo che l’imprudenza di non avere ancora ascoltato quella cosa sui ‘gatti persiani’ mi sarebbe un giorno ritornata come un boomerang :-)).
Li ascolterò stasera allora, ma quanto ti comporti da donna, delle volte…. (scusa Marco, scriviamoci ancora, ma in privato).
Per quanto riguarda ancora gli a-ha, personalmente amo molto “The Blood that Moves the Body” e “Summer Moved On” per citare qualcuna di quelle meno note al grande pubblico.
Circa gli interessi musicali (e non, ad esempio i serial televisivi) stessa sensazione anche da parte mia (fin dal primo post su Adele) e ben contento di averti incuriosito circa Melody Gardot (che ti confermo è anche autrice dei brani). A questo punto ti faccio anche un altro nome che ho scopoerto da poco, di cui magari prima o poi parlerò anche in un “Mi piace”: Stacey Kent di cui recentemente è uscito un gran bell’album live “Dreamer in Concert”. Una bravissima interprete, un’altra di quelle voci che mi lasciano a bocca aperta.
Registro con piacere gli approfondimenti (e mi tocca dire che sono d’accordo anche qui).
Sulla Stacey Kent di cui parli, sono certo che sarà una bomba anche questa ma devo metterla in lista di attesa, prima devo ascoltare una proposta di Valeria sui gatti persiani che mi intriga parecchio, e non vedo proprio l’ora di farlo. Peccato per Stacy, ma i Gatti Persiani prima. :-))
Dai Valeria, non essere gelosa!
Io ho ascoltato molto di quello che hai suggerito (e come ho già avuto modo di dire condivido molti dei tuoi gusti musicali). Piuttosto adesso ci penso un po’ e poi magari provo a farti qualche nome che potrebbe conciliarsi con quelli che mi sembrano i tuoi gusti, d’accordo?
Alessandro, sei una brutta persona. A questo punto TI PREGO DI NON ANDARE AD ASCOLTARE un’emerita mazza fionda della colonna sonora dei Gatti Persiani. Suggerimento che ti avevo dato tra l’altro per avvertire la “dissonanza” tra voce maschile e femminile dopo che tu ti eri scagliato contro i miagolii della moglie e musa di Paul Waaktaar in Whalebone per cui già non mi aspettavo niente di buono, figuriamoci adesso che MI SONO COMPORTATA DA DONNA.
Chissà perchè credevo che tu te ne fossi già accorto (mi rendo conto solo adesso che qualcosa nella mia persona, nel mio nome o nella mia foto deve avere creato un equivoco).
Marco ti prego: non darmi una grattatina distratta sulla testa, piuttosto ignorami 🙂
Ah, le donne… come diceva qualcuno non si può vivere con loro e non si può vivere senza.
Comunque Valeria sei quasi (e sottolineo il quasi) più permalosa della mia adorata mogliettina (che se mai leggerà queste righe non mi parlerà per due giorni solo perché l’ho detto).
Davvero vorrei farmi perdonare (nessuna grattatina 🙂 ), quindi comincio con il dire che io i Take It Easy Hospital li ho ascoltati: non mi hanno fatto impazzire, però in “My Sleep Fall” lei mi ha ricordato molto Susan Vega (e questo dal mio punto di vista è un pregio).
E poi invece ti consiglio l’ascolto di “California” dei Social Distortion, dall’album “Hard Times and Nursery Rhymes”, dopodiché se ancora sarai arrabbiata con me, prometto che la faccio finita con i consigli musicali, ok?
…invece lei secondo me si sta divertendo da matti.
Ma invece di cadere in situazioni come questa, in cui l’altro mio mito personale oltre a Steve Jobs (Raimondo Vianello, alla cui morte – Valeria puoi confermare – mi presi un giorno di ferie a lui dedicato) è impagabile, preferisco restare in disparte. Continuate voi.
(“Ed io tra di voi” – ecco il video http://www.youtube.com/watch?v=LCl-gXp99t4)
Allora, metto la parola fine a questo battibecco divertentissimo che mi ha aiutato a restare sveglia in questo nebbioso-uggioso-merdoso lunedì pomeriggio dicendo che:
– ok, anch’io ascolterò (con calma) le cose che mi hai suggerito. Non solo, a costo di sciupare l’idillio tra te e Ale, ascolterò anche quello che hai suggerito a lui.
– Permalosa? Boh, può darsi… Ma quando Loretta Goggi fece la scenatona a Mike Bongiorno a Miss Italia per averla introdotta a trasmissione iniziata da mo’, fu permalosa lei oppure lui effettivamente la trattò da valletta? Ecco, diciamo così: posso fare la valletta se volete, ma non sarò mai la valletta “muta” 🙂
Vi lovvo entrambi
Valeria,
alla fine ho ascoltato due brani dei Take it easy hospital e, ammetto, sono meglio di quanto mi aspettassi:”Me and you”non è per niente male e poi sono passato a quello che credo sia il cavallo di battaglia, Human Jungle, dalla colonna sonora dei “gatti persiani”.
La canzone parte bene e tutto sommato mi piace. E avevi ragione quando paragonavi i SAVOY di Whalebone a questi perchè c’è la voce della fidanzata del cantante (che non può essere altro che questa la connessione, oppure un po’ come in ‘Pallottole su Broadway’ la fidanzata del capo supremo – Ahmadinejad? – ) perchè neanche al superenalotto è così difficile beccare una combinazione: NON AZZECCA UNA NOTA DALL’INIZIO ALLA FINE DELLA CANZONE!!! (in realtà le prende tutte, solo un pochino calanti, sai quella corda della chitarra a cui manca ancora mezzo giro di aggiustamento…ecco, così. Che per me questa cosa è peggio di una tortura cinese, iranaiana in questo caso).
E tutti lo sanno che è scarsa la personaggia, tanto che è strategicamente tenuta ‘dietro’ nel mix del brano, ma riesce comunque a rovinarlo…con maestria.
Veramente pessima, pessimissima, ma è stato interessante ascoltarli, Lauren Savoy ne esce inaspettatamente vincitrice, da oggi la considero la figlia di Mina.
Mi spiace però, perchè le canzoni non sono male, magari cerco ancora qualche brano.
Non so lei, ma io di certo mi sono divertito 🙂
Alex, il video che citi è bellissimo e avevo avuto modo di rivederlo abbastanza di recente in Da Da Da (l’unico motivo per accendere la televisione fra giugno e agosto)
Valeria, anche io vi lovvo perché:
– siete bravi
– siete simpatici
– … … siete bravi l’ho già detto?
Mi riprometto di leggerlo stasera, il tuo odierno post: in questo momento sarebbe sprecato. E comunque, concordo (l’ho letto di straforo, l’ammetto, il paragrafetto VOCE): gran voce quella di Morten Harket, un’estensione da paura.
Alessandro, sei impazzito? Qualcuno ti ha forse detto che oggi agli italiani è stato concesso un giorno di ferie extra perchè possano stare a casa a leggere il tuo post?
Il mio prossimo lo pubblicherò tra almeno 15 gg per dare il tempo ai tuoi sostenitori di leggere bene, rileggere meglio, riflettere, interiorizzare e poter alla fine dire (cosa che io riesco a fare dopo due sole letture) che SEI UN GRANDISSIMO FIGO!!!! GRANDISSIMO FIGO!!!!!
Ho già stampato la tua foto e l’ho attaccata ai raggi della bicicletta (ho venduto il Ciao anni orsono) e se con questo mio gesto ti renderò solo bello invece che bello e credibile, cavoli tuoi. Non sarai il primo a cui è successo 🙂
Devo comunque riflettere, e ascoltare in rapida successione qualcosa dei tre gruppi che tu hai qui collegato, per poter toccare con mano le analogie che hai tracciato.
A caldo dico che la versione acustica mi convince di più, malgrado le dita fasciate di Paul Waaktaar (in effetti, nella versione “in studio” perfino io, sorda come Beethoven, sento che i synth puzzano di soffitta – o armadio delle scope che dir si voglia) ma non voglio essere precipitosa.
Avrai ancora mie notizie, dude!
Lunghissimo vero? E dire che il lavoro più difficile è stato tagliarlo e ridurlo.
Fallimento.
Dono della sintesi, non pervenuto.
In più, mi sono pericolosamente avvicinato al tipo che immaginavi leggere Guerra e Pace nudo. Posso certificare però che tutte le volte che l’ho riletto, ero come minimo a due indumenti di distanza dal modello da te evocato.
Prometto che il prossimo post sarà brevissimo e molto più leggero.
Giuro, mano sul cuore.